martedì 9 marzo 2010

Stati di coscienza

Ogni mattina, all'aurora, il signor Guido Ferri si sveglia stanco perché si è appena addormentato, ma non può fare a meno di alzarsi, spinto da un senso di oppressione che lo stringe al petto. La stanza appare invariabilmente squallida per la luce spettrale e caliginosa che filtra dalla tapparella mal calata. Il signor Ferri non sa spiegarsi perché, ma ogni mattina sente l’irrefrenabile istinto di abbandonare al più presto la casa, come se ne andasse della sua sopravvivenza. L’unica cosa che gli è dato di sapere, sotto forma di dogma, è che non deve assolutamente pensare a Quella Cosa, o Essa si materializzerà dal nulla, portata ad esistere dal suo stesso pensiero.
Tuttavia, nel momento stesso in cui il signor Ferri si dice: “Devo resistere, non devo pensare a Quella Cosa...”, ecco che l’ha pensata e si mette in moto il fatale meccanismo. La Cosa fa intuire la sua presenza insinuando nel signor Ferri la paura, che rende finalmente chiari il senso di oppressione e la volontà di fuga che provava da prima.
Egli sa che esiste sempre solo un’unica via di scampo: ogni mattina, a questo punto, esce sul terrazzino della camera da letto, sale in piedi sulla ringhiera metallica e si getta nel vuoto.
Dopo una breve fase di caduta, il signor Ferri riprende quota e cerca freneticamente di volare lontano. Il signor Ferri non ha ali, egli vola come nuotando nell’aria. A volte il suo corpo è tremendamente pesante e si sposta molto lentamente. Il signor Ferri sa che in questi casi è quasi condannato.
Il segreto per sfuggire alla Cosa è la velocità: occorre volare dove Essa non può vedere la sua preda prima che sia comparsa sul terrazzino. La Cosa, infatti, proviene dall’interno della casa e incombe alle spalle del signor Ferri. Di fronte al terrazzino c’è un grigio palazzo simile a quello in cui vive il signor Ferri; al di là di esso, a destra del terrazzo e dall’altra parte del suo stesso palazzo si estende la città. A sinistra del terrazzo, invece, il paesaggio offre colline tondeggianti ricoperte di erba e qualche albero: questa via non è praticabile a meno che il vantaggio sulla Cosa non sia grande, perché non vi sono ripari dove sfuggire al Suo terribile sguardo. Quasi sempre, perciò, il signor Ferri si dirige a frenetiche bracciate verso i palazzi, cercando di nascondersi sul lato opposto di uno di essi prima che la Cosa emerga dal suo appartamento. Non sempre è abbastanza rapido da riuscirci al primo tentativo e allora, in preda al panico e senza mai voltarsi indietro, deve gettarsi in un disperato slalom volante tra diversi edifici della città ancora deserta, sentendo la Cosa sempre più vicina dietro di sé, finché non riesce, con infinite curve e giravolte, a farle perdere il contatto visivo.
Anche con molti metri quadrati di cemento tra il suo corpo ansimante e il letale sguardo della Cosa, egli può sentirla scandagliare l'orizzonte cercandolo e si fa piccino, trattenendo il respiro e restando immobile, con le stille di sudore che piovono giù dal suo corpo senza peso.
Solo dopo interminabili momenti di terrore, il signor Ferri sente che l'oppressione sulla sua mente si allevia, segno che la Cosa ha rinunciato ancora una volta alla sua caccia. Nonostante questo, rimane immobile ancora a lungo prima di osare ritornare a casa, questa volta camminando, dove si getta spossato sul letto e cerca vanamente di riposarsi prima che la sveglia suoni e la parte ordinaria della sua giornata cominci.
Il signor Ferri non ha mai parlato a nessuno di tutto questo. La Cosa è il suo terribile segreto, l'appuntamento inevitabile di ogni alba della sua vita. Egli è convinto che la Cosa non esista se non in quel momento e per lui solo, ciononostante è così reale e vivida che all'approssimarsi della sera il signor Ferri si sente sempre più inquieto, e sebbene si corichi di buon'ora, non riesce a chiudere occhio per buona parte della notte.

Freneticamente alzò la tapparella, spalancò la portafinestra. Presto, presto! La sentiva dietro di sé. Balzò sulla ringhiera e spiccò il volo.
Quando lo tirarono su dal marciapiede sei piani più sotto per portarlo all’obitorio, il suo volto era ridotto a una maschera piatta e informe. Un infermiere si sentì male.

2 commenti:

  1. Mi piace! È intrigante e ben scritto. (Certo, un sospetto su come andasse a finire mi era venuto…)

    Bravo, Marco, continua così.

    G

    RispondiElimina
  2. Questo l'ho scritto molti anni fa, non mi ricordo esattamente quando, forse nel '98 o nel '99.
    Sto postando cose vecchie e nuove.

    RispondiElimina