Ahi! ku

Sebbene non sia particolarmente nippofilo, di tanto in tanto mi diverto a scrivere haiku, o meglio dei versi che fino a poco tempo fa credevo fossero haiku.
Recentemente ho letto una definizione di questa forma poetica nel blog del mio caro amico Guido, uno che del Giappone ha fatto un oggetto di culto, e mi sono reso conto che i miei sono solo "semplici versi senza fisionomia". Dell'haiku prendono solo la divisione in diciassette "suoni", sillabe, e la partizione dei versi in un quinario, un settenario e un altro quinario. L'haiku originale, inoltre, è una forma pittografica quanto poetica: deve essere tanto gradevole e artistico graficamente quanto all'udito.
Con barbarica ignoranza di occidentale, mi sono appropriato di questo prodotto della cultura giapponese e l'ho stravolto a mio piacimento, tenendo solo quello che mi ha fatto comodo e buttando via il resto. Sono abbastanza contento del mio misfatto, però non posso continuare a chiamare haiku i miei terzetti di versi, perché in definitiva non lo sono mai stati.
Siccome spesso hanno un contenuto demenziale e umoristico (almeno come velleità, i risultati sono un altro paio di maniche), ho deciso di chiamarli Ahi! ku, e con questa etichetta appariranno sul Ribaldone.
Postilla: l'ottimo Guido, sempre attento, mi ha confidato che i miei versi ricadrebbero meglio sotto la definizione di senryuu. Riporto la precisazione, ma rimango fedele alla definizione originale, anche perché non trovo un modo stupido di storpiare la parola senryuu. Il mio lettore e mezzo non se ne dispiacerà.

Ahi! ku eruttati (in ordine cronologico di composizione, non di pubblicazione):

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